La necropoli di Santo Venditto e la chiesa di Santa Maria in Prato

A partire dal VI secolo a.C. nel comprensorio di Carlantino si profila una specificità etnica che attraverso precisi elementi relativi alla cultura materiale rimandano ad una koinè con chiare affinità riconoscibili in area medio-adriatica.

La presenza daunia che pure è documentata attraverso produzioni in ceramica subgeometrica, evidentemente prevedeva sotto l'aspetto della gestione del territorio un controllo e una presenza insediativa "a maglie piuttosto ampie" o come testimoniato per altre realtà limitrofe doveva esistere, almeno per un certo periodo cronologico, una sorta di compresenza-coesistenza di diversi gruppi etnico-sociali

La presenza allogena si potrebbe far risalire a genti gravitanti originariamente l'area abruzzese del fiume Sangro, dalla forte connotazione tribale, estremamente dinamici e vocati allo spostamento stagionale attraverso le direttrici della transumanza che giungendo al Fortore ne fecero l'avamposto principale.

Nell'area della località denominata Santo Venditti, area di Santo Venditto sita a Nord-Est del centro abitato di Carlantino, nome con una chiara trasposizione dialettale di San Benedetto, l'occupazione umana si registra sin dalla preistoria, con tracce di capanne a C e presenza di materiali litici e ceramici. La fase più caratterizzante e a cui si riferiscono la maggior parte dei recuperi archeologici è relativa ad una necropoli di età arcaica caratterizzata da tombe ad inumazione, monosome e in fossa terragna con inumato disposto in posizione supina.

Ad oggi risulta ancora problematico risalire all'area insediativa a cui associare il sepolcreto; esistono diverse aree di dispersione di materiale archeologico.

L'esclusività del rituale di deposizione, fortemente identitario, le attestazioni epigrafiche riferibili a grafemi in lingua osca e la tipologia di alcuni oggetti di corredo evidenziano puntuali connessioni con la sfera culturale sannita. Oggetti simbolo sono i peculiari kardiophylax: i dischi-corazza di tradizione medio-adriatica-picena, nello specifico esemplari da associare ai gruppi iconografici di "Paglieta e Alfedena", con inciso la chimera, l'animale fantastico, attestano la presenza di principi-guerrieri. tra i tipi più recenti e datati al VI sec. a.C. l'area di maggiore diffusione di questi dischi corazza di tipo "aufidenate" è quella compresa tra i fiumi Pescara e Sangro.

La loro quantità fa inoltre ritenere che la necropoli si riferisca ad un gruppo che riconosce la propria etnia attraverso l'immagine rappresentata nel disco corazza, origine etnica riconoscibile anche attraverso la tipologia delle tombe e dei relativi corredi.

La bronzistica è esplicata anche attraverso alcuni oggetti che possiamo considerare veri e propri marcatori in primis etnici e poi di genere quali i rasoi o torques afferenti alla sfera maschile o i pendenti terminali delle chatelenne, ma anche anelli da sospensione o un bellissimo copricapo bronzeo connessi al mondo femminile.